Passeggiata Letteraria

"Una parte di me" di Giulia Campa: un delicato tuffo nel mare dei sentimenti

Arrivo in fondo a questo libro, letto in una manciata d’ore e chiudendolo mi dico che, se anche non lo avessi saputo dal nome sulla copertina, non avrei avuto esitazioni nel riconoscere, dietro la penna, lo sguardo di una donna.
Io credo che esistano due modi totalmente differenti di guardare all’amore: l’uomo lo vive, lo fa divenire un aspetto della sua esistenza; la donna ne è attraversata.
Una parte di me (Lupo Editore) di Giulia Campa è il racconto della vita di un uomo, dalla sua infanzia fino all’età della maturità, trent’anni; e, per quanto si possa immaginare che sia stata tortuosa questa vita, altro non si può fare, descrivendola, che registrarne gli eventi. A meno che il punto d’osservazione non sia femminile. Allora quel racconto diventa viaggio attraverso l’Amore; e l’Amore non è solo quello che si consuma in una coppia, ma è quel misterioso spirito che pervade ogni fibra dell’essere, dominandone le azioni.
Amore, dunque, come motore del mondo.
Amore e odio. Perché non c’è positivo senza il suo negativo, non si coglie la luce senza aver conosciuto il buio.
Il lettore attraversa la vicenda esistenziale di Lorenzo, il protagonista del libro, percorrendone il sentiero tortuoso, facendo tappa laddove gli snodi sono stati difficili.
Una vita come tante, forse, a volerla guardare con distacco.
In fondo, nel quotidiano si registrano innamoramenti, vite che si legano le une alle altre, tradimenti che sfilacciano e, a volte, recidono legami, figli che nascono da grandi amori o da incidenti di percorso. Vite ordinarie, parrebbe, dove il fluire della vita a volte viene deviato da scogli più o meno incombenti. Lorenzo ci racconta la sua vicenda con parole che rinunciano alla cronaca degli eventi, che pure emergono chiari e circostanziati; tuttavia chi legge non resta su quel piano, indotto com’è a nuotare il mare dei sentimenti, delle sensazioni, delle percezioni dettate da Giulia Campa, la quale ha regalato il suo femmineo a Lorenzo e lo ha fatto parlare da quella prospettiva.
Amore e odio, dicevo.
Odio che genera dolore.
Il dolore è il sentimento più soggettivo che esista, il più dominante. Colui che soffre crede che il mondo intero ne abbia contezza e percezione. Di più: il suo dolore lo vorrebbe universale, vorrebbe che l’universo intero si fermasse, bloccandone il fluire sfacciato che ignora la morsa in cui è bloccato il singolo.
Il dolore genera immobilità.
Il dolore desertifica.
Il dolore fa dimenticare l’amore, lo rinnega, lo schernisce, lo riduce ad un mucchietto di gratuite illusioni, favolette che finiscono con l’essere smascherate.
Ma Amore è forza, è coraggio; a volte è violenza, quella che strappa alle comode convinzioni, che getta via le coperte di un giaciglio rassicurante seppur non del tutto appagante.
Amare è scegliere con difficoltà, accettare di soffrire, lanciarsi nell’esaltazione del bello e precipitare, a volte.
Amore non è un fiore delicato, è una pianta forte; è “la rosa del deserto che nasce dal fortunato incontro tra sabbia e gesso, fragile eppure robusta, resiste alle insidie dell’arsura e indica, con la sua bellezza che la vita è più forte dell’odio”
Leggo e penso che la vita è un corso d’acqua: si genera, rigoglioso, forte della possente energia della roccia che lo ha partorito; poi si dipana nel mondo, ritmando il suo andare, adattandosi al suolo che lo raccoglie e lo accompagna, accelerando a volte, cedendo il passo altre volte; si inabissa quando incontra terreno cedevole; diventa sabbia quando il sole è bruciante, si immobilizza in lastre gelide se il fuoco smette di ardere; si annoda in anse tortuose che ne deviano il percorso o si avviluppa in mulinelli vorticosi dentro cui si può perdere l’orientamento. Ma la fine è sempre una strada piana, larga, che conduce con mano sicura dentro le braccia aperte del mare, che attende, paziente, una parte di sé che torna al suo posto.
Noi siamo l’acqua del fiume: scorriamo attraverso i nostri anni, riceviamo acqua, terra, sassi, morte e vita; soccombiamo ai colpi mancini delle vicende umane, spesso cediamo le armi. Ci diciamo che la lotta è impari, il nemico è più forte o sleale e noi troppo deboli.
Amore ci insegna che, a volte, basta cambiare prospettiva e guardare l’altra faccia della medaglia; si impara che accettare gli errori degli altri insegna a guardare ai propri, che il perdono regalato è amore che ritorna; si impara che l’amore può essere imperfetto, spesso lo è, ma nel conto finale perde colui che rinuncia per codardia.
Vince chi ama. Sempre. Nonostante tutto.

(Maria Letizia Pecoraro)

Nessun commento:

Posta un commento