Passeggiata Letteraria

"Il fiore dell'amicizia": omaggio a Bodini

 

IL FIORE DELL'AMICIZIA: 

primo e unico romanzo di uno scrittore che non disegnava confini tra prosa e poesia


di Tiziana Cazzato



Prendo fra le mani l' unico romanzo di Vittorio Bodini e faccio un tuffo in un passato che non mi sembra più tanto lontano. Ed ecco che con la mia memoria torno ai miei studi universitari, mentre mi dedico alla preparazione di un esame di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, quando frequento l' allora Università degli Studi di Lecce, oggi Università del Salento. Il corso monografico prevede, fra altro, la lettura delle prose e dei racconti scritti dall'autore salentino fra il 1948 e il 1963 e raccolti in “Barocco del Sud” (Besa Editrice). 

 Lessi per la prima volta quel libro per studio, le altre volte per un innamoramento che era ormai avvenuto e che mi aveva spinto a leggere e scoprire qualcosa di più di uno scrittore, che, come ho avuto già modo di dire, ha saputo cogliere la luce e i colori del nostro Salento e riportarli sulla tela dei suoi scritti, rendendoli sempre più universali.
Cerco il silenzio della mia stanza o la compagnia solitaria del mare nelle prime ore dell'alba, per ascoltare la vita che respira in quelle pagine che mi riportano in una Lecce che forse non c'è più o che forse continua a esistere, a vivere quel suo modo di essere, pur essendo cresciuta nello spazio e nel tempo.
Vittorio mi fa compagnia per ben due volte, in questa narrazione da lui affidata a due quaderni, custoditi dalla moglie Nina, fra il 1942 e il 1944, e pubblicata  in occasione del centenario della nascita dello scrittore, venuto alla luce il 6 gennaio 1914, dalla casa editrice Besa. Del suo racconto è protagonista un professore, il quale, dopo una giornata di lavoro, in quel paese può prendersi come unico divertimento il gioco. Rincasa. Non gli restano che poche ore di sonno, dovendo andare la mattina presto a scuola, dove i suoi alunni indovineranno la sua sfortuna. Lungo la strada incontra Carmine, lo spettro della sua giovinezza, come pensa tristemente e, a quelle ultime ore di buio affida i suoi ricordi e un flashback che riporta lui a ripensare ai tempi in cui si ribellava alla scuola e alla famiglia e iniziava a inserirsi in un gruppo di amici, esplorandosi e scoprendosi a se stesso. Facendo conoscenza di sé.
E mentre il Vittorio protagonista, in una città in cui si sente imprigionato e da cui vorrebbe fuggire, attraverso le esperienze più disparate, come la relazione con una prostituta, lo portano a imparare tutto di sé, il Vittorio scrittore racchiude come in uno scrigno le forme, i motivi, le immagini che ritorneranno nei suoi scritti futuri, magari più approfonditi, più amplificati e arricchiti, e che caratterizzano la sua visione e soprattutto interpretazione del Sud.
E in un'estate strana dal profumo di autunno, come quella che stiamo vivendo, Bodini riesce a farmi sentire il tormento di una stagione molto calda, quando si prova a dormire in vasti letti al buio, senza lenzuolo, che dopo un poco lo ritroveremmo incollato su tutto il corpo. E mi accompagna, mentre passeggio per le strade della città nelle prime ore del pomeriggio, non incontrando nessuno, se non qualche mendicante disteso a dormire sotto il portico e dei Cristi e delle Madonne in cartapesta, a grandezza naturale, davanti alle botteghe ad arrostire al sole. Mentre passeggio sotto un cielo che schiaccia contro una pianura di calce i pochi alberi di fico e le siepi irte di fichi d'India. E continuo la mia passeggiata, accompagnata a guardare e vedere anche i luoghi dell'anima di un paese, in cui predomina la mania del pettegolezzo, tipica dei leccesi, e la pigrizia dei proprietari terrieri che si lasciano portare via dai milanesi il loro vino, “ciò che dovrebbe dare il benessere a un'intera regione”. E mentre proseguo fra il bianco della calce, tipico delle case salentine, mi chiedo se il Vittorio protagonista è anche il Vittorio scrittore, condividendo entrambi l'espulsione dal liceo, la vocazione letteraria e l'amicizia di giovani borghesi squattrinati, girelloni e sempre “malinconicamente allegri”.
E mentre proseguo la passeggiata fra il bianco della calce, tipico delle case salentine, respiro il fiore di un romanzo, che profuma di autobiografia, ma soprattutto di vita autentica, narrata alle fievoli luci di una notte buia da un professore di Lecce che rincasando incontra il suo amico Carmine, spettro della sua giovinezza.
E troppo presto la mia passeggiata giunge a destinazione, a quell'ultima pagina che avrei voluto non arrivasse e, dopo la quale resta una sensazione di assenza, di solitudine, di mera nostalgia. Ma poi mi dico che tornerò a prendere fra le mani Il fiore dell'amicizia, per respirare la vita di una città che Bodini non solo dipinge nei suoi colori e nella sua luce, ma anche nel battito del suo cuore. Tornerò a prendere fra le mani Il fiore dell'amicizia, per respirare ancora il profumo di una scrittura che risveglia tutti e cinque i sensi e che soprattutto non disegna il confine tra prosa e poesia.

Nessun commento:

Posta un commento